Regia: Luciano Emmer (1961)
Lo schermo è scuro. A poco a poco distinguiamo le forme degli uomini e poi il bagliore di una lampada da testa. Sentiamo una tosse strozzata e, nell'oscurità, vediamo una faccia annerita, ma non possiamo dire di chi sia. Finalmente, scopriamo un'altra faccia – quella di Vincenzo – anche la sua lampada da testa è accesa.
"Sei ancora vivo?" Riconosciamo la voce: è di Federico.
"Sì, ma –" inizia Vincenzo mentre Federico fa un colpo di tosse.
"Sei ferito?"
"No", Vincenzo scuote la testa. "Credo di no".
"Beh, tanto meglio. Ce la siamo cavata".
Vincenzo esclama: "Là sotto c’è qualcuno. È Salvatore!" Vediamo solo le suole dei suoi stivali. Il resto di lui è sepolto.
"Bisogna fare qualche cosa! Tiriamolo fuori!"
"Sei matto?" – avverte Federico – "Se scaviamo crolla tutto. Ormai è inutile. Vediamo piuttosto se troviamo un buco per uscire di qua. Dai!”
Tra il loro continuo tossire, Vincenzo fa una scoperta improvvisa: "Ehi, qui ce n’è un altro!”
"Chi è?"
"È Mustafà".
"Stai buono Mustafà, risparmiati il fiato, dai. Tirati indietro. Fammi vedere”. Il fascio di luce della sua lampada da testa mostra che Mustafà è intrappolato. "Ho capito. Non c'è niente da fare. È meglio aspettare che vengano a cercarci. Dai, sdraiati contro la parete. Dalla parte del carbone siamo più sicuri almeno”.
Ansimando, Vincenzo e Federico appoggiano le loro spalle contro la parete.
Federico continua: "Spegni la lampada. Basta quella di Mustafà per vederci. È meglio risparmiarle.
Adesso l'importante è rimanere calmi, tanto ormai hanno già dato l’allarme e sanno dove ci troviamo. È solo una questione di qualche ora e ci tirano fuori. Eh, vero, Mustafà, che ci tirano fuori?"
Mustafà lo guarda con una disperazione silenziosa e geme piano.
"Porca di una miseria!" – dice Federico – "Erano dieci mesi che non succedeva un guaio”.
All'improvviso il ruggito di un martello pneumatico, Federico balza in piedi: "Ma quello fa crollare tutto! Fermalo!" Mustafà sta cercando di farsi strada martellando sui detriti.
I due uomini lo afferrano da dietro mentre lui chiude gli occhi e geme di dolore.
C'è un sibilo improvviso e Federico urla: "Ragazzi! Abbiamo l’aria! Senti, senti, Mustafà!" Regge il tubo che libera l'aria verso il viso di Mustafà. Ma l'uomo ferito geme soltanto e preme la mano contro la roccia che lo ha bloccato.
"Povero diavolo, è rimasto sotto con le gambe" – dice Federico – "Dai, coraggio, Mustafà! Dai chè adesso abbiamo l'aria. Possiamo resistere finché vogliamo! Dai!" I tre uomini ridono, aggrappandosi alla speranza come meglio possono.
Lo schermo si oscura di nuovo.
All'inizio della scena successiva, Federico canta rumorosamente una canzone popolare lombarda.
Oh Teresina vien da basso
Oh Teresina vien da basso
Oh Teresina vien da basso
Che arriva il tuo amore.
All'improvviso si ferma. "Ehi, guarda che io ho l’orologio nella testa, sai? E mi sbaglio di poco. Saranno… otto ore che siamo qui dentro. Vuoi scommettere?"
Vincenzo lo guarda svogliato. Vediamo la sua faccia in primo piano: una maschera nera, rotta solo dal bianco dei denti e dagli occhi. Mustafà fissa il soffitto con aria assente, la sua croce brilla nel buio. Loro non rispondono.
"Ma tu non parli mai?" lo rimprovera Federico.
Vincenzo alza le spalle. "Cosa vuoi che ti dica?”
"Di dove sei? Non so nemmeno di dove sei".
"Di Rovigo. Della provincia: Lendinara".
"E come ti chiami?"
"Vincenzo. Rossi Vincenzo". Dice il suo nome per la seconda volta nello stile italiano: con il cognome prima.
"Hai gente a casa o sei solo?" chiede Federico.
Vincenzo guarda tristemente in basso, con l'africano ferito in grembo. "Sì, mio padre, mia madre e sette tra fratelli e sorelle".
“Osteria!”*
* Questa parola, che generalmente indica un tipo di ristorante, è un eufemismo per evitare di bestemmiare dicendo "ostia" – quella che il prete offre ai parrocchiani durante la messa cattolica – che in italiano suona in modo simile.
All'improvviso Vincenzo guarda oltre, dicendo con eccitazione: "Senti! Cos'è questo rumore?"
Federico all’inizio alza le spalle perché non sente niente. Poi si emoziona anche lui. "Questi sono i martelli pneumatici! Stanno arrivando!"*
Vincenzo ripete: "I martelli pneumatici! Ehi, Mustafà, i martelli pneumatici!"
"Te l'avevo detto che ci tiravano fuori! Porca miseria! Dai, questa è finita, ragazzi". Federico si toglie il casco e la lampada da testa, dicendo felicemente: "Ormai è inutile fare economie, stanno venendo. Possiamo anche sprecare l’illuminazione!"
* Per quelli di voi che guardano il film, il termine che in realtà usano qui è "martopicchi". Poiché il termine non è di uso comune, abbiamo deciso di continuare con il termine "martello pneumatico".
"Però adesso cantiamo tutti quanti, eh ragazzi? Dai, dai, Mustafà, canta anche tu! La conosci questa?” Federico li conduce agitando la mano e cantando la popolare canzone messicana Besame Mucho.
Besame,
Besame mucho
Como si fuera ésta noche
La última vez*
Canta ad alta voce, praticamente urlando, guardando verso il suono dei martelli pneumatici. Lo schermo, ancora una volta, si oscura, ad indicare il passare del tempo.
* Baciami, baciami con passione, come se questa sera fosse l'ultima volta.
"Che giorno siamo oggi?" chiede Vincenzo.
"Giovedì o forse è già venerdì". Federico si ferma per un momento, poi aggiunge: "Basta che ci tirino fuori per sabato".
"Perché per sabato?"
"Eh, perché... ti faccio vedere io cosa facciamo sabato. Andiamo ad Amsterdam, ci facciamo una di quelle mangiate! E dopo ci troviamo due ragazze, le più in gamba, e ce le affittiamo per il weekend – che da queste parti sarebbe dal sabato fino alla domenica sera".
"Come le affitti?" chiede innocentemente Vincenzo.
"Non ti preoccupare. Lascia che ci tirino fuori poi ti faccio vedere io come si affittano due ragazze. Allora va bene, siamo d’accordo per sabato, eh?"
"Va bene".
"Va bene? Allora qua la mano. Ecco!"
Chiaramente, Mustafà non è invitato a questa gita.
C'è un fragore improvviso e poi un ruggito. I due uomini si mettono a sedere e si guardano. Vincenzo dice: "Ehi, l'aria non passa più".
Federico alza la mano per sentire l'aria. "Beh, vuol dire che si è rotto il tubo dall'altra parte, vacca bestia!"
"E adesso cosa si fa?"
Federico alza le spalle impotente e dice: "Cosa vuoi fare? Aspettiamo. Tanto ormai è questione di ore, forse di minuti".
Lo schermo si scurisce ancora poi la lampada da testa mostra Federico, sdraiato, con la testa di Vincenzo in grembo. Sentiamo il respiro affannoso degli uomini, nell'aria priva di ossigeno.
Vincenzo chiede: "Federico, credi che ci staranno ancora cercando?"
Sollevando un po' la testa, Federico risponde con un filo di voce: "Chi lo sa? Quel porco demonio... Cosa staranno facendo?"
La macchina da presa si muove lentamente verso Mustafà, coperto di sudore, sdraiato sul grembo di Vincenzo. Lo vediamo a malapena nel buio. Lo schermo si oscura.
All'improvviso sentiamo lo stridio della gabbia che sale nel pozzo della miniera. Vediamo la luce della superficie come un punto luminoso nell'oscurità, che diventa sempre più grande man mano che la gabbia sale.
Federico e Vincenzo sono nella gabbia. Quando arrivano in superficie, sussultano e chiudono gli occhi contro il bagliore della luce, luce che non vedono da giorni.
I loro colleghi sono riuniti di fronte all'ascensore per salutarli.
"Eccoli qua, c'è anche quell’altro, quello nuovo!"
"Ciao, Federico!"
Danno pacche sulla schiena di Federico, mentre cammina con Vincenzo.
Federico si gira e chiede: "Che giorno è oggi?"
"Sabato".
Si rivolge a Vincenzo e dice: "Cosa ti avevo detto, che ci tiravano fuori per sabato".
Gli uomini escono circondati dai loro compagni di lavoro. Poi qualcosa attira il loro sguardo fuori campo.
È Mustafà che urla dal dolore mentre viene caricato in un'ambulanza. Gli uomini guardano la macchina mentre si allontana.
"Oh, povero Mustafà", dice cupamente Federico.
Ma l'umore torna presto al festeggiamento.
Un minatore dice: "Avevamo già fatto la colletta per comprare la corona".
Federico ride di cuore e risponde: "Beh, non fa niente. Vuol dire che ce li berremo alla salute!"
Gli uomini camminano parlando a voce alta. Tutti vogliono salutare Federico.
Tornato nella sua camera, Vincenzo si è lavato la fuliggine ed è vestito con un abito. Esamina le foto delle ragazze appese al muro dal siciliano, Salvatore, ora morto nella miniera, e le accarezza leggermente con le dita. Alla fine, guarda in basso, assorto nei suoi pensieri.
L'ultima volta che è stato con Salvatore, tutto ciò che poteva vedere erano le suole degli stivali; il resto di lui era sepolto. Ora Vincenzo prende i propri stivali da lavoro, li avvolge in un giornale e li mette nella valigia. Ne ha avuto abbastanza della vita in miniera.
Non preoccupandosi di bussare, Federico entra nella stanza, pulendo una macchia sulla cravatta mentre cammina. "Sei pronto?"
Improvvisamente si rende conto che Vincenzo sta facendo i bagagli per andarsene. "Beh, cosa fai?" chiede.
"La valigia".
"La valigia?!" chiede incredulo.
"Sì".
Federico si siede su uno dei letti. "Ma allora te ne vai via?"
"Ti ho detto che tornavo in Italia, no?"
Federico balza in piedi, indignato. "Ah ma però sei un bel traditore! Cosa avevamo detto giù in miniera?"
"Che andavamo ad Amsterdam".
"E allora?"
"E allora andiamo ad Amsterdam", risponde mentre cammina verso la porta, con la valigia in mano.
"Ah!" Federico è sollevato.
Vincenzo si gira. "Ma dopo parto".
"Ma dopo, non ora”. Federico chiede conferma.
"Sì", sorride Vincenzo.
"E allora così va bene!" sorride Federico. "Andiamo! Vedrai, stasera siamo attesi, mio caro!"
Gli uomini lasciano la stanza.
La cantina è piena di minatori che bevono e parlano rumorosamente. C’è della musica e due uomini ballano insieme. Un uomo si avvicina a Federico dicendo: "Federico, che fai? Te ne vai senza bere alla salute?"
"No, no!" – risponde – "Ogni promessa è debito!" Ordina: "Altri due!"
Uno dei ragazzi gli dice: "Ma questi li paghi tu perché i soldi delle collette li abbiamo già bevuti".
Federico dice al proprietario di metterlo sul suo conto, ma l'uomo protesta: "Guarda che con questi fanno cinquecento fiorini giusti di debito, sai? Voglio vedere quando me li dai!"
"Va bene!" Si gira e urla verso l'altra parte della stanza: "Ohi, Vincenzo, vieni qua!"
Vincenzo accetta il bicchiere che Federico gli offre, facendo un brindisi alla salute di tutti. Gli uomini alzano i bicchieri in alto.
L'amico di Vincenzo, Salvatore, gli si avvicina chiedendo: "Allora parti?"
"Sì".
"Si vede che non gli piace il paesaggio", commenta la figlia del proprietario, Esterina. Lei e Salvatore hanno le braccia l'uno intorno all’altra. Lui sembra essere deciso a rimanere – almeno per un po'.
Federico dice a Vincenzo: "Dai, andiamo, sennò perdiamo il treno. Arrivederci ragazzi!"
Giovanni, uno dei compagni italiani di Vincenzo, si avvicina a lui. "Ahò, Vince’ allora parti? Se passi dal mio paese di’ che non stiano in pensiero perché al massimo tra due o tre anni ci rivediamo, coi soldi".
Vincenzo saluta con la mano quando esce dalla porta. Federico lo sta aspettando fuori, sotto il sole splendente. Proprio quella mattina i due uomini erano intrappolati in una miniera oscura, senza sapere se sarebbero mai emersi, e ora sono in viaggio per un weekend ad Amsterdam!
Ecco la partita di calcio, obbligatoria in ogni film ambientato in Europa. Mentre attraversano il gruppo di ragazzi urlanti, Federico si unisce brevemente a calciare la palla in giro. Dice a Vincenzo che, quando era più giovane, era un vero campione.
I due sono arrivati ad Amsterdam. In un campo lungo, li vediamo vicino alla stazione ferroviaria, figure minuscole nella notte, l'oscurità macchiata dalle luci delle finestre e dei cartelloni pubblicitari, le sagome di alcune torri sullo sfondo.
Sono arrivati nel quartiere a luci rosse. È qui che Federico aveva in mente di affittare due donne, un concetto che Vincenzo non riusciva a capire. Uomini in giacca e cravatta camminano per la strada, mentre le donne stanno sul marciapiede o si sporgono dalle finestre, chiamandoli.
Federico e Vincenzo si avvicinano a una vetrina dove una giovane donna dai lunghi capelli biondi si è appena seduta, incrociando le gambe in modo seducente.
"Ma quella li dentro, cosa fa?" chiede l'ingenuo Vincenzo.
Federico si gira verso di lui e chiede incredulo: "Come ‘cosa fa?’ Ma quella è in vendita. Vai dentro, ti metti d’accordo sul prezzo, tiri le tendine e la compri – come un chilo di parmigiano", ridacchia.
Dopo pochi passi, Federico si ferma e aggiunge: "Però non cominciamo a fare gli italiani e buttarci sulla prima che ci capita che poi dobbiamo sopportarla fino a domani sera. Per fortuna che Federico ha l’occhio clinico".
Osservano un uomo che sale vivacemente i gradini fino a una stanza. La donna lì è un'altra bionda. Le cinghie della sua camicetta cadono dalle sue spalle. Parla brevemente con l'uomo, poi si alza, cammina verso le tende e le chiude. Federico continua la sua lezione: "Hai visto? Ha trovato il compratore".
Mentre camminano, un cesto viene abbassato di fronte a loro da una finestra in alto. Una voce chiama in olandese, "Ehi, belli! Salite!" Alzano gli occhi per vedere una donna che si sporge dalla finestra, facendo cenno con il dito.
"Eh, casomai se metti l'ascensore veniamo a trovarti!" le dice Federico scherzando. Gli uomini ridono e vanno via.
Loro continuano per la loro strada. Una donna si sporge da una finestra al piano terra. "Ehi, bello!"
"Passo dopo, bionda!" le dice Federico.
Ma si ferma alla vetrina successiva. Dice: "Eh guarda un po’ questa qui”.
La giovane donna (Marina Vlady) è alta ed elegante con lunghi capelli biondi. Indossa un abito nero senza maniche e tacchi alti. Diverse piccole lampade illuminano la sua stanza, che sembra accogliente. Potrebbe essere un salotto a casa di qualcuno. Una sedia vuota di fronte a lei invita un visitatore a venire, sedersi e farle compagnia. Guarda gli uomini.
"Come la trovi?" chiede Federico. "Sembra fatta a mano, no?"
In mostra nelle vetrine, queste donne bionde sembrano essere bambole per i due italiani.
Mentre la donna sorseggia una tazza di tè, la macchina da presa fa una panoramica sul suo corpo, seguendo la traiettoria degli occhi degli uomini. Lei fa loro l'occhiolino.
Vincenzo la guarda affamato e dice: "Niente da dire. Bell’occhio, bella coscia, bella bestia”. *
"Dai, vieni che te la presento, dai".
Mentre iniziano a camminare verso l'edificio, una donna dalla strada urla: "Federico! Vieni qua!"
* L'uso del singolare qui è un modo in italiano di descrivere un animale.
Federico si gira. Una donna si sta sporgendo da una porta per salutarlo con la mano.
Salutandola a sua volta, Federico risponde felicemente: "Uè, ciao! Sì vengo subito!"
"Sei veramente conosciuto qui", osserva Vincenzo.
"Beh, sai com'è" – risponde modestamente Federico – "Dai, entra, tu va. Per sabato e domenica gli offri duecento fiorini. Vedrai che si fa i salti dalla gioia si fa!"
Comincia ad andare verso la donna che lo chiama ma Vincenzo lo segue. Federico si gira e lo rimprovera. "Eh, vai! No?"
"Sì", risponde Vincenzo piacevolmente e cammina verso i gradini.
Vincenzo si ferma incerto sulla soglia e si gira per guardare Federico, che è in piedi accanto alla donna che lo ha chiamato. Lei comincia subito a lamentarsi: "Mi stai già tradendo, eh?"
"No!" – si difende – "Ero con un amico". Fa un cenno verso Vincenzo.
Nel quartiere a luci rosse, è una scena di strada impressionante: uomini che camminano lungo il marciapiede in cerca di compagnia e donne, fuori o dentro una vetrina, che cercano di attirarli.
Vincenzo esita alla vetrina. La donna fa un tiro dalla sua sigaretta e lentamente espira.
Lei lo guarda e incontra i suoi occhi. Come Mustafà, indossa una croce d'oro. Smarrito, di nuovo, Vincenzo rimane immobile.
Un altro uomo passeggia e si ferma davanti alla vetrina. Colpito, Vincenzo continua a guardare.
Lei solleva le sopracciglia e scuote delicatamente la testa per fargli capire che è meglio muoversi se la vuole. Poi gesticola con il pollice verso la porta.
Vincenzo entrerà? Può agire più rapidamente dell'altro uomo, che sembra essere più sicuro di sé? O si ritroverà da solo per tutto il weekend, a tallonare Federico?
FINE PARTE II
Here is the link for Parte III of this cineracconto. A Vertigo grammar exercise about the film has been posted at the bottom of the final installment. Subscribe to receive a weekly email newsletter with links to all our new posts.
GLOSSARIO
accogliente (accogliere) – cozy (present participle as adjective – note: this type of present participle adjective always has the e/i endings)
affannoso (o/a/i/e) – labored, gasping
agire – to act, behave
alza (alzare) le spalle – he shrugs
ambientato (ambientare) – set, taken place (past participle as adjective)
annerita (annerire) – blackened (past participle as adjective)
ansimando (ansimare) – panting
assorto (assorbire) – absorbed (past participle as adjective)
attirarli (attirare) – to lure them, attract them
il bagliore (e/i) – the glow
balza (balzare) – he leaps
bestemmiare – to curse, blaspheme
un brindisi (no change) – a toast
un campo (o/i) lungo (go/ghi) – a long shot (cinematic term)
i cartelloni (e/i) pubblicitari (io/i) – the billboards
casomai – maybe
ce la siamo cavata (cavarsela) – we made it
le cinghie (ia/ie) – the straps
circondati (circondare) – surrounded (past participle as adjective)
crollare – to cave in
ride (ridere) di cuore – he laughs heartily
cupamente – somberly
espira (espirare) – she exhales
fa (fare) l'occhiolino (o) – she winks
non fa (fare) niente – it doesn’t matter
fa (fare) un tiro (o/i) – she takes a drag (on a cigarette)
sta facendo (fare) i bagagli – he is packing
il fascio (scio/sci) di luce – the beam of light
il fiato (o/i) – breath
finché vogliamo (volere) – as long as we want
un fragore (e/i) – a crash
la fuliggine (no change) – the soot
fuori campo – off-screen
“in gamba” – on the ball
giusti (o/a/i/e) – exactly
un guaio (aio/ai) – accident
impressionante (impressionare) – striking (present participle as adjective)
una macchia (ia/ie) – a spot, stain
a malapena – barely
man mano – gradually, little by little
matto (o/a/i/e) – crazy
la messa (a/e) cattolica – the Catholic mass
ostia (ia/ie) – host, wafer
pacche (ca/che) - pats (noun)
i parrocchiani (o/i) – the parishioners
il pollice (e/i) – the thumb
preme (premere) – he presses
primo piano – closeup
qualche ora – a few hours
ride (ridere) di cuore – he laughs heartily
il ruggito (o/i) – the roar
un salotto (o/i) – a living room
si scurisce (scurirsi) – it darkens
sdraiati (sdraiare) – lie down
sennò – otherwise
lo sfondo (o/i) – the background
un sibilo (o/ii) – a hiss
smarrito (smarrire) – out of his depth, bewildered (past participle as adjective)
sorseggia (sorseggiare) – she sips
splendente (splendere) – bright, shining (present participle as adjective)
non stiano (stare) in pensiero - not to worry
gli stivali (e/i) – the boots
strozzata (strozzare) – strangled (past participle as adjective)
sudore (e/i) – sweat
superficie (ie/i) – surface
sussultano (sussultare) – they wince
svogliato (o/a/i/e) – listless
tallonare – to tag along
tanto ormai – because anyway
una tosse (e/i) – a cough
tutti quanti – everybody
l'umore (e/i) – the mood
vivacemente – briskly, energetically
a sua volta – in turn
vuol (volere) dire – it means